TULIPOMANIA: LA BOLLA DEI TULIPANI

Quest'oggi cercheremo di fare chiarezza su un evento storico che viene spesso utilizzato per paragoni più o meno impropri, negli ultimi tempi, quando si analizza l’argomento Bitcoin.
Si parla spesso di bolla speculativa per le cryptovalute si fa, anche più spesso, riferimento alla Tulipomania del Seicento. Ora che voi ne abbiate già sentito parlare oppure no, l'intenzione dell'approfondimento di oggi è quella di spiegarvi brevemente il fenomeno per fornirvi i mezzi che vi permetteranno di sviluppare la vostra personalissima opinione sull’argomento.
L’andamento del prezzo dei Bitcoin, e delle crypto in generale, è paragonabile per alcuni ad una bolla speculativa, con il prezzo del bene molto superiore al suo valore intrinseco. Un andamento del genere non è sostenibile e prima o poi la bolla è destinata a scoppiare, facendo precipitare il prezzo del prodotto/bene.
Chi parla dei Bitcoin in tal senso, quasi sempre rievoca la cosiddetta “Tulipomania” che nell’Olanda del XVII° secolo avrebbe dato vita alla prima bolla speculativa della storia.
Che i Bitcoin siano o non siano una bolla è oggetto di accesissimo dibattito, ma una cosa è certa: la storia della bolla dei tulipani che troviamo sui giornali e nei manuali di finanza è più mito che realtà.
Come spiegatoci dalla storica Anne Goldgar nel suo libro “Tulipmania: Money, Honor and Knowledge in the Dutch Golden Age” (University of Chicago Press, 2007), nessuno mette in dubbio che intorno al 1630 nei Paesi Bassi si sia verificato il fenomeno della cosiddetta “Tulipomania”, durante la quale i bulbi di tulipano erano scambiati attraverso strumenti finanziari.
Da questo, ed è proprio il caso di dirlo, seme di verità sono nate leggende e fatti non completamente verificati che ancora oggi ci regalano una visione distorta di quello che è realmente successo.
Per cercare di comprendere al meglio vorrei porvi questa semplice domanda: paghereste un tulipano quanto una casa?
Naturalmente no, eppure quei mattacchioni degli olandesi erano riusciti nell’incredibile impresa di far impennare il prezzo dei bulbi, facendolo arrivare al pari di quello medio per un’abitazione.
Pazzesco, senza ombra di dubbio, ma quello che ci si dimentica di dire è che la stragrande maggioranza dei bulbi che passavano di mano durante la Tulipomania non avevano assolutamente prezzi così alti.
Come ci ha recentemente ricordato la storica, i bulbi più costosi in assoluto costavano all’epoca circa 5mila fiorini, un prezzo simile a quello di una bella casa. Dai registri pervenutici e consultati però, solo 37 vendite sul totale registrato superano i 300 fiorini di valore.
Si tratta di prezzi senz’altro molto alti, ma sarebbe sbagliato liquidare il comportamento degli olandesi come irrazionale o privo di senso logico.
I bulbi di tulipano, specialmente le rare varietà screziate dovute a un particolare virus, erano a tutti gli effetti un bene di lusso, e il mercato per quel tipo di raffinatezze era quindi in forte espansione.
La “leggenda” narra di un poderoso precipitare dei prezzi nel febbraio 1637, durante il quale vennero bruciate fortune dal giorno alla notte, uno scenario paragonabile a quello del crollo di Wall Street dell’ottobre 1929.
La stragrande maggioranza della popolazione olandese si era inebriata dalla prospettiva di guadagnare facili fortune, addirittura chi svolgeva le professioni più umili, come gli spazzacamini, aveva messo da parte i propri risparmi per giocarseli in tulipani. O meglio, questa era l’intenzione.
L’esplosione della bolla mandò i commercianti in bancarotta e mise letteralmente in ginocchio anche i piccoli risparmiatori risparmiatori dell’epoca. Qualcuno decise addirittura di annegare se stesso nei canali di Amsterdam, cosa che vista oggi rafforza ancora di più il paragone con gli eventi della Grande Recessione.
La realtà dei fatti però non potrebbe essere più diversa: la Tulipomania è stata quasi esclusivamente un gioco svolto da professionisti della finanza, gli affari si facevano nelle taverne, generalmente tra persone note.
Le conseguenze per l’economia Olandese furono pressoché nulle, e dai registri nessuno finì in bancarotta. Le persone più colpite furono quelle che avevano venduto sulla carta i tulipani, che in quel momento erano ancora sottoterra, ben lontani dalla fioritura.
Grazie a una legge introdotta proprio in quel periodo, chi comprava non era infatti obbligato a saldare prima di avere in mano il tulipano vero e proprio, ma chi aveva previsto di vendere poteva reggere il colpo.
Nessuna fonte accertata inoltre parla di suicidi nei canali.
Un’altra storia molto comune all’epoca, che potremmo facilmente definire una fake news ante litteram, è quella del marinaio che per sbaglio si cucinò e mangiò un costosissimo tulipano, scambiandolo per una cipolla. Il legittimo proprietario non la prese bene, e fece imprigionare l’uomo.
Un bel racconto, come tutti quelli sulla bolla dei tulipani, ma difficilmente veritiero. I bulbi non hanno un sapore particolarmente gradevole e contengono composti tossici, a meno di una carestia difficilmente sarebbero consumati.
Questi aneddoti così come molti altri, assieme alla descrizione “canonica” della Tulipomania, si trovano nel libro del 1841 “Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds”.
Scritto dal giornalista scozzese Charles Mackay, racconta di come gruppi di persone possano illudersi e comportarsi in maniera del tutto irrazionale: tra caccia alle streghe e crociate in nome di Dio, nel libro si parla anche delle bolle speculative, tra cui appunto quella dei tulipani olandesi.
Mackay voleva dimostrare le proprie tesi, ma non era assolutamente uno storico. Non si fece quindi scrupoli a plagiare “Storia delle invenzioni (Beiträge zur Geschichte der Erfindungen) un’opera di fine ‘700 scritta da Johann Beckmann, autore tedesco passato alla storia come l’inventore della parola tecnologia, sicuramente non l'ultimo arrivato.
Neppure Beckmann era però uno storico e per la Tulipomania (presumibilmente in buona fede) si era basato su dei pamphlet satirici che circolavano in Olanda dopo l’esplosione della bolla.
La storia della Tulipomania descritta da Beckamann e scopiazzata da MacKay era troppo affascinante per non diffondersi, basti pensare che persino Phineas Taylor Barnum - controversissimo personaggio del XIX° secolo, imprenditore (nonchè truffatore) in ambito Circense - a sua volta plagiò Mackay nel suo “Humbugs of the World”, contribuendo a diffondere la leggenda.
Senza dimenticare il contributo di opere di finzione come “Il Tulipano nero” di Alexandre Dumas.
Solo negli anni ’80 del secolo scorso si è cominciato a mettere in dubbio questa narrazione, ma il mito rimane. Nelle parole della Goldgar:
“La Tulipomania è citata di continuo, per ricordare agli investitori di non comportarsi da stupidi, o di stare lontani da quello che secondo altri è un buon investimento. Ma la Tulipomania è stata un evento storico in contesto storico, e qualunque cosa sia i Bitcoin non sono la Tulipomania 2.0.”
In effetti basti pensare che durante il periodo di massimo splendore della “Tulipomania” i bulbi hanno subito un incremento di prezzo tale da farne aumentare il valore, nell’arco di un triennio, di circa 50 volte rispetto a quello iniziale.
Questo valore però, tenuto conto dell’inflazione, resta tutt’oggi il massimo mai più toccato per questo prodotto.
Mettiamo a confronto questi dati con quelli relativi ad altre “bolle speculative”, sempre ammettendo che Bitcoin possa essere così definita come già spiegato in precedenza.
Il “tech boom” o boom tecnologico iniziato a metà degli anni ’90 che viviamo ancora oggi ha provocato un aumento nel valore dei propri prodotti fino ad 8 volte quello iniziale in 5 anni. Poi però con lo scoppio della bolla di internet i prezzi sono crollati impiegando altri 17 anni per ritoccare e superare la vetta precedente.
Invece i Bitcoin hanno aumentato nei primi 5 anni il loro valore fino a 130 volte tanto, perdendolo in seguito come avviene generalmente intorno al periodo di dimezzamento della ricompensa, ma andando successivamente a recuperare circa 3 anni fino a doppiare il precedente picco.
Quindi, al di là di tutte le ipotesi, congetture e proiezioni basate su dati empirici, non ci resta che aspettare per capire cosa ci riserverà il futuro.