La leggenda del baratto

Tutti noi abbiamo delle reminiscenze di frasi lette sul vecchio sussidiario delle scuole elementari. Una di quelle che probabilmente anche tu ricordi in maniera più nitida è la seguente:” il commercio nelle società primitive era basato sul baratto”. Ma sarà vero? Beh, scambiare beni con altri beni era in realtà un metodo di transazione molto inefficiente.
Facciamo un esempio pratico. Immagina un allevatore di capre che, a causa dell’imminente arrivo dell’inverno, ha bisogno di comprare del legname. Non è affatto detto che la persona che ha disponibilità di legname sia interessata, in quel momento, al suo bestiame. Come dovrebbe comportarsi invece il nostro allevatore se avesse bisogno di chiodi per sistemare il vecchio recinto delle caprette? Sempre ammesso che al fabbro interessi una capra, una manciata di chiodi vale certamente meno di un animale vivo ed in salute, quindi momentaneamente non frazionabile.
Insomma, in un’economia basata sul baratto la ricchezza è difficilmente accumulabile e utilizzabile, per questo ed altri motivi si sarebbero evoluti i sistemi di scambio basati sul denaro.
Questa ipotesi del baratto è diventata celebre con il trattato “La ricchezza delle nazioni” (1776) di Adam Smith, considerato quasi unanimemente come il padre della scienza economica, e che divenne un punto riferimento per la disciplina. La realtà, però, è che l’economia di baratto così come è stata espressa da Smith probabilmente non è mai esistita.
TORNARE AL BARATTO
Al mondo è pieno di nostalgici, conservatori, tradizionalisti o passatisti. In preda a qualche delirio puoi udire loro pronunciare frasi come “dovremmo tornare al baratto”, e fatto che il baratto abbia preceduto il denaro è considerato, ancora oggi, un fatto praticamente scontato. Eppure già nel 1985 un papello dell’antropologa Caroline Humphrey aveva messo le cose in chiaro: un’economia basata unicamente sul baratto sarebbe talmente inefficiente da essere irrealizzabile e non solo non esistono solide testimonianze storiche, ma essa non è mai stata osservata nelle società primitive. Pare invece che, nella maggior parte dei casi, il baratto sia stato praticato da società che conoscevano già il denaro ma che, per diverse ragioni, erano temporaneamente impossibilitati a utilizzarlo. La caduta dell’Impero Romano spinse ad esempio alcune località a usare il baratto in sostituzione o in affiancamento alla moneta ancora in circolo, ma non si è mai trattato di un vero e proprio ritorno alle origini. Abbiamo osservato casi simili dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica o con le crisi economiche argentine.
BARATTO O ECONOMIA DEL DONO?
Il baratto per Adam Smith è lo scambio diretto di beni che tutti abbiamo già in mente: quid pro quo, io ti do questo e tu in cambio mi dai quello. Sembra tutto molto semplice, no? Forse perché quando ci capita di scambiare qualcosa riusciamo a valutare la transazione in riferimento al suo valore in denaro. E in effetti i primi sistemi monetari, che Smith non poteva conoscere con i mezzi a sua disposizione nel XVIII° secolo d.C. , sono davvero antichissimi (risalgono addirittura al VI° secolo a. C.): cosa succedeva quindi in questo remotissimo passato?
Lo studio delle attuali società primitive ci fornisce qualche indicazione utile per sfatare questi miti e leggende. Il baratto esisteva, in forma altamente ritualizzata, anche in questi contesti, ma era praticato soprattutto tra estranei: membri di diverse tribù, persino nemiche, che potevano anche non condividere lo stesso linguaggio. Alla luce di ciò sembra ancor più difficile che da esso si sia potuto evolvere un sistema di scambio basato sul denaro. All’interno di queste società, invece, il commercio è stato sostituito dalla cosiddetta economia del dono. In sostanza, gli individui (o i gruppi di individui) si scambiavano dei beni o dei servizi, senza chiedere formalmente nulla in cambio. In realtà era ben chiaro a tutti ciò che uno donava e a chi lo donava, creando legami di reciprocità per cui, alla fine, ogni membro otteneva ciò di cui aveva bisogno.
L’INFLUENZA DEL MITO
L’economista Michael Beggs (University of Sydney), critico nei confronti della teoria del baratto come prima forma di scambio, si è espresso in questi termini:
“Non penso che qualcuno creda che [l’economia di baratto] costituisse un fatto storicamente accertato, nemmeno gli economisti che la descrivono nei libri. Si tratta più di un esperimento mentale.”
Eppure questa idea non solo è incredibilmente diffusa, ma potrebbe anche avere avuto pesanti effetti sulla storia dell’uomo. I più critici, come David Graeber che abbiamo citato nell’introduzione di questo video, sostengono che questa concezione del baratto come antenato dei soldi legittimi l’idea che gli esseri umani abbiano sempre ragionato in termini di quid pro quo, e che siano quindi destinati a continuare su questa strada. L’estrema conseguenza di questa concezione errata e distorta della realtà dei fatti, sempre secondo Graeber, avrebbe portato persino ad assegnare un valore anche alle persone stesse, e quindi giustificherebbe il debito (in senso prettamente antropologico, non economico) come sistema per manipolare persone o gruppi sociali.
LA VERSIONE DI GRAEBER
«C’erano una volta e in paesi lontani… i popoli del baratto. Joshua, uno degli abitanti, aveva bisogno di un paio di scarpe, ma attorno a sé aveva solo patate. Per fortuna il suo vicino Henry produceva scarpe e voleva mangiare patate: i due ricorsero al baratto per soddisfare i loro bisogni.
Le cose però non erano così semplici: Henry a un certo punto non ne poteva più di patate e a Joshua non servivano altre scarpe. Certo, altri attori potevano entrare in gioco con i loro beni, ma il baratto si rivelò inadeguato a società più complesse. L’invenzione della moneta semplificò il quadro. Misurando il valore delle merci, essa rese più agevoli gli scambi.
Ancora una volta però le cose non erano così semplici: alcune persone cominciarono a richiedere crediti e finirono per indebitarsi. Nacquero così istituzioni per tenere a bada i debitori e garantire le restituzioni…».
E così via fino ad arrivare alla recente crisi economica dovuta alla pandemia globale. Una bella fiaba della scienza economica, sostiene Graeber. Un mito che gli economisti ripropongono da Adam Smith in poi, ma che non ha alcun riscontro né nella storia né nell’etnografia, né tra i primitivi antenati dell’Occidente né tra gli abitanti di altre parti di mondo, come già anticipato. «Noi — scrive Graeber — non abbiamo cominciato col baratto, per poi scoprire la moneta e alla fine sviluppare un sistema di credito. È successo proprio l’opposto». Non sarebbe quindi il baratto la categoria fondante delle economie e delle società umane, bensì il debito.
Nella piccola comunità di Joshua e Henry le patate si possono sì scambiare con delle scarpe, ma lo scambio sarà con tutta probabilità differito nel tempo. Joshua «dona» a Henry dei tuberi che ha in abbondanza, rendendo Henry un debitore. «Questo debito è l’essenza stessa della società ed esisteva prima ancora del denaro e dei mercanti» continua l’autore. Il «debito» si basa sulla fiducia e sulla relazione sociale: la mitica società del baratto, un totem dell’economia neoclassica perché ha al centro l’atomo individuale dell’homo oeconomicus, non è mai stata ritrovata né dagli storici né dagli antropologi. Di società che praticano il baratto è pieno il mondo ma, se si escludono particolari contingenze di crisi, si tratta di un fenomeno marginale e perlopiù attuato con stranieri ed estranei.
TRA STORIOGRAFIA ED ETNOGRAFIA
Le prime forme di scrittura ritrovate in Mesopotamia e datate oltre 5.000 a. C. sono tavolette d’argilla su cui i sacerdoti dei templi registravano i debiti dei contadini. L’ammontare del debito era commisurato alla quantità di grano o di argento, i quali fungevano da «moneta virtuale». Le monete fisiche compariranno molto più tardi, verso il 600 a.C.
In ambito etnografico, ritroviamo molte società in cui, tuttora, una parte importante dell’economia si basa sul dono e sul debito reciproco. Lo schema di Adam Smith risulta così rovesciato: il debito e i sistemi creditizi sono all’inizio della storia (e, a volte, anche alla fine). In quest’ottica il debito è così importante da divenire un autentico «fatto sociale totale», a partire dal quale prendono forma istituzioni, pratiche e credenze che ritroviamo nelle stesse società contemporanee.
Templi e sacerdoti, capitali e sovrani si sono fatti garanti dei debiti, coniando monete e «pagherò» di varia forma, ma hanno saputo anche sfruttare il fenomeno a loro vantaggio, imponendo interessi e tributi. Il controllo della moneta ha così permesso di sorvegliare e punire i debitori. È spesso accaduto nella storia che intere schiere di popolazione non siano più state in grado di far fronte ai loro debiti finendo in schiavitù, vedendosi costretti a cedere le donne come prostitute. È altresì capitato che queste stesse popolazioni siano state liberate, assolte dai propri debiti attraverso giubilei finanziari.
L’importanza del debito è ed è stata talmente rilevante per l’uomo che il lessico e le credenze di molte religioni alludono a redenzioni e remissioni come vie di salvezza, concepiscono la vita come un «debito» verso la divinità e gli antenati, presentano il «conto» dopo la morte a coloro che non hanno rispettato i vincoli del debito.
Scrive ancora Graeber: «Non è un caso che la prima parola che ci è stata tramandata con il significato di libertà sia il termine sumerico “amargi”, che stava per “libertà dai debiti” e che in senso letterale significava “ritorno alla madre”: quando veniva dichiarata bancarotta, infatti, tutti i pegni offerti come garanzia del debito potevano “tornare a casa”».
Un’attenta lettura della storia e dell’etnografia insegna dunque che, quando il debito interpersonale che fonda il legame sociale si mischia e sfocia nel debito di massa, dando vita a schiere di debitori che marciano sull’orlo dell’abisso, la scelta è tra il renderli schiavi, il creare buone condizioni di vita perché possano restituire i loro debiti o ancora assolverli completamente.
Anche senza sposare le ipotesi radicali di Graeber, è indubbio che oggi non siamo nemmeno in grado di immaginare sistemi alternativi al quid pro quo, sia esso via baratto o tramite l’intermediazione monetaria, se non a una scala molto limitata.